L'Alta Valmarecchia è il cuore antico del Montefeltro: meta e soggiorno, fin dall'antichità, di uomini illustri e famosi, da Dante a San Francesco, da Cagliostro ad Ezra Pound, in questi ultimi tempi ha rafforzato la sua capacità d'attrazione turistica.
Ogni anno centinaia di migliaia di persone la scelgono per il suo ambiente incontaminato, gli incomparabili paesaggi, le imponenti vestigia storiche, i prodotti tipici famosi e ricercati in tutto il mondo, le grandi fiere nazionali: prime tra tutte, quella del tartufo a Sant'Agata Feltria, del formaggio di Fossa a Talamello e dell'antiquariato a Pennabilli.
Il portale internet della rete museale Musei Alta Valmarecchia nasce su iniziativa della Comunità Montana dell'Alta Valmarecchia proprio con l'obiettivo di far conoscere ai turisti, sempre più numerosi, i tesori d'arte, le tradizioni e le bellezze del territorio.
Inaugurata nel 2000, la Casa-Museo è ospitata in un'antica abitazione all'interno del centro storico di Casteldelci.
La Casa-Museo è anche sede della Biblioteca degli scrittori del Montefeltro che custodisce i manoscritti più preziosi dell'Archivio Comunale.
Sezione Archeologica
Nelle sue sale sono esposte le testimonianze archeologiche più significative del territorio, dall'età Preistorica al Rinascimento, come ad esempio manufatti litici, reperti ceramici, monete e altri oggetti in bronzo.
La collezione archeologica è organizzata secondo una lettura storica in ordine cronologico. Le prime vetrine espongono i reperti dalla Preistoria all'Età del Ferro e i materiali rinvenuti negli scavi delle necropoli di Pescaia e di Calanco. Questi ultimi, insieme ad alcune tombe ricostruite, formano il nucleo più importante del museo: incensieri, olle, bacili e corredi funerari finemente restaurati, come lucerne, piatti, coppette e ciotole in ceramica, comune e verniciata, risalenti alla seconda metà del II secolo d.C. - prima metà del III secolo d.C.
L'esposizione prosegue con reperti di età romana, testimoniati da una ricca serie di monete e da materiali ceramici provenienti dalle abitazioni rurali disseminate nella Valle del Senatello: frammenti di vasi, coppe, anfore, bicchieri, chiavi, fibule, altri oggetti in bronzo e in piombo.
Infine la sezione medievale ospita testimonianze dall'XI al XIV secolo in ceramica e metallo: punte di freccia e di balestra, un falcetto, uno stiletto in ferro, frammenti di brocche, boccali, vasi.
Il museo raccoglie anche le mappe catastali più antiche del Montefeltro. Si tratta di grandi mappe del territorio di Casteldelci, risalenti al 1793.
Sezione di Storia Contemporanea
Nella primavera-estate del 1944, il territorio di Casteldelci venne travolto dalla furia della guerra. Dai primi giorni di aprile alla fine di luglio oltre cinquanta civili inermi furono uccisi dai nazi-fascisti, in una catena di eccidi che sconvolsero, in un attimo e per sempre, le aspettative e i progetti di vita delle popolazioni del luogo.
Un'intera comunità fu costretta a misurarsi con l'orrore e nulla fu più come prima. I sopravissuti, i parenti delle vittime, sopraffatti dal dolore, per molti anni hanno rimosso l'evento, relegandolo nei recessi della memoria. Ma, anche le tragedie più terribili se vogliamo che non si ripetano, non vanno dimenticate.
Per questo, abbiamo allestito la prima sezione della Casa Museo dedicata alla storia contemporanea. Il percorso della memoria parte dalle sale espositive e si sviluppa nel territorio, a collegare le principali località sconvolte dalle stragi: Fragheto, Ponte "Otto Martiri", Gattara.
Attraverso oggetti, immagini e documenti intendiamo riproporre quella realtà nei momenti della vita quotidiana - il lavoro, la festa, le foto d'epoca - e delle vicende storiche legate alla seconda guerra mondiale - la battaglia di Calanco, la strage di Fragheto, i bollettini militari, le testimonianze dei superstiti, le sentenze dei tribunali. Il visitatore, avvalendosi dei suoi ricordi e delle sue esperienze è invitato a interagire con i materiali esposti.
Il Museo del Pane è uno speciale museo diffuso, costituito dal territorio di Maiolo, definito dall'Unione Europea "zona BioItaly" per la sua valenza floristica, dai suoi campi di grano e, soprattutto, dai suoi numerosi forni, più di cinquanta, utilizzati per la cottura del caratteristico pane locale e delle tipicità ad esso collegate.
Questi forni, sparsi in maniera uniforme, vengono considerati una preziosa testimonianza di civiltà e un vero e proprio bene culturale per il loro fondamentale ruolo di collante dell'intera borgata. Oggi, purtroppo, non tutti risultano attivi. Alcuni, tuttavia, sono ancora in uso e ritornano perfettamente funzionanti in coincidenza della Festa del Pane.
Le strutture risalgono ai primi decenni del 1800, come testimoniano le pietre con le quali sono costruite, e sono di proprietà della stessa famiglia di agricoltori, pastori e boscaioli da quattro generazioni. Sono costituite dalla camera di cottura, in mattone, mentre il manufatto esterno è fatto di materiale lapideo come il calcare marnoso. Generalmente i forni sono addossati ad una dependance della casa rurale o alla casa stessa, ma possono anche essere completamente isolati, lontani da qualsiasi struttura.
Una delle loro principali caratteristiche, è che servivano più nuclei familiari, strettamente imparentati tra loro e riuniti in un agglomerato al quale hanno tramandato addirittura il nome. Il forno è utilizzano da famiglie che vivono nello stesso nucleo rurale e che lo considerano un insostituibile strumento di cottura. All'interno di ciascuna, sono pochi i soggetti capaci di utilizzarlo e che ne conoscono i segreti e le procedure migliori. Ne consegue che il pane prodotto non può essere destinato alla vendita al grande pubblico, ma può soddisfare esclusivamente la domanda interna.
L'attività dei forni aveva in passato importanti implicazioni sociali. La panificazione, infatti, rappresentava un momento di aggregazione insostituibile, un'occasione d'incontro tra i vari nuclei familiari che si servivano nello stesso forno. Ma erano soprattutto i bambini a godere di questo momento, plasmando in forme particolari i filoni. Venivano addirittura prodotti dei biscottini che servivano da paghetta per convincere i bambini a partire per il pascolo.
Dal pane inoltre, dipendeva largamente il ciclo giornaliero dei lavoratori agricoli, scandito da rituali legati all'alimentazione e in maniera particolare al pane. Si partiva al mattino all'alba per campi e pascoli con una sacca piena di formaggio, vino e pane, che veniva consumata intorno alle 7.30. A mezzogiorno circa, una donna di casa provvedeva a portare il pranzo sul campo, riponendo il pane in appositi canestri. Anche la cena, almeno durante la bella stagione, veniva effettuata nei campi ed era a base di pane mentre durante le altre stagioni, era consumata in casa e prevedeva un menù più vario.
Inaugurato nel gennaio 1970, grazie all'impegno dell Château de Versailles, che ha raccolto le richieste di conservazione della memoria espresse dai minatori, il Museo Storico Minerario nasce con l'intento di testimoniare l'attività estrattiva dello zolfo nella miniera di Perticara.
Dal 1980 al museo si affianca l'idea di un progetto che si connota come uno dei primi esempi di archeologia industriale sorti in Italia e si prefigge di valorizzare i numerosi esempi di cultura materiale ancora presenti sul territorio, per riportare alla luce una storia comune al popolo europeo ma ormai scomparsa dalla memoria collettiva. Si avvia così il restauro degli edifici dell'ex Cantiere Solfureo Certino costruiti dalla Montecatini a partire dal 1917 che rappresentano il periodo di massima attività produttiva della miniera.
Nel 2002 si concretizza il nuovo progetto museografico ed il ricco patrimonio di reperti acquisiti dopo un trentennale lavoro di ricerca trova la giusta collocazione negli ambienti originali, che sorgono vicino al pozzo Vittoria, antico collegamento con l'immensa città sotterranea.
Le sale, costruite su una sapiente scenografia degli spazi, di grande suggestione, hanno una potente forza comunicativa, che risulta particolarmente efficace per l'apprendimento e la didattica. La loro sequenza è organizzata in un percorso strutturato per temi che riproduce tutte le fasi dall'estrazione alla fusione dello zolfo e culmina ne La miniera, fedele ricostruzione di un itinerario sotterraneo inaugurata nell'ottobre 2005, in cui la visita diviene esperienza di una delle più straordinarie avventure dell'uomo, quella che spinse migliaia di uomini a rinchiudersi nelle profondità della terra alla ricerca dello zolfo, rendendosi parte attiva dell'evoluzione economica e sociale del nostro paese
Il Percorso dello zolfo e le Officine illustrano il lavoro quotidiano dei minatori sia attraverso gli strumenti e gli attrezzi comunemente utilizzati in miniera, tra cui una serie completa di lampade, sia attraverso un assortito patrimonio di documenti, disegni, fotografie e filmati d'epoca.
Il Museo ospita due sezioni di approfondimento tematico: un'ampia collezione di rocce e minerali e una pregevole raccolta di antichi strumenti scientifici per il rilevamento topografico e ambientale, come bussole, grafometri, inclinometri, tavolette pretoriane, teodoliti, anemometri, tacheometri.
Il mondo di Tonino Guerra è il titolo che il poeta ha scelto per definire lo spazio in cui trova ospitalità la sua opera artistica. Certo uno spazio museale, ma che supera l'idea stessa di museo poiché intende essere uno luogo vivo in cui ci si incontra, si discute, si lavora.
Non è a caso l'edificio è sede dell'Associazione culturale che porta il suo nome, istituita nel 2005, grazie all'iniziativa degli enti fondatori: - le Province di Pesaro Urbino e di Rimini, i Comuni di Pennabilli e di Santarcangelo di Romagna, la Comunità Montana Alta Valmarecchia. L'Associazione culturale Tonino Guerra è nata per salvaguardare e valorizzare la sua opera artistica in Italia e all'estero e promuoverne la cultura poetica, cinematografica e artistica.
La sede di Via dei Fossi, trova ospitalità nei sotterranei del trecentesco Oratorio di Santa Maria della Misericordia. Oltre a rappresentare uno spazio museale è il luogo in cui il poeta presenta le sue opere, tiene lezioni di sceneggiatura, mette in scena il suo Teatro di lettura, incontra gli studenti e grazie all'archivio, alla videoteca, fototeca e biblioteca allestite all'interno, è momento di studio e approfondimento della sua opera e del contesto in cui è nata e si è sviluppata.
L'Associazione propone un ampio programma culturale che si fa anche promotore, attraverso la conoscenza e la valorizzazione dell'arte guerriana, del territorio di più Province e Regioni, interagendo con le Istituzioni, gli Enti e le Associazioni che in esso operano, con un risvolto culturale di carattere europeo e internazionale. Si tratta di un'opportunità non solo culturale e artistica ma anche turistica di grande rilievo, capace di rappresentare un volano per lo sviluppo culturale ed economico di un territorio già carico di specificità.
Il museo diffuso I luoghi dell'anima si snoda attraverso il paese di Pennabilli e parte dell'Alta Val Marecchia. Nato da un'idea del poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, raccoglie sette musei all'aperto e non, ognuno con caratteristiche proprie ma uniti dall'obiettivo comune di sollecitare l'anima e la fantasia del visitatore.
Le tessere che compongono questo mosaico sono:
L'orto dei frutti dimenticati, primo museo dei Luoghi dell'anima, raccoglie le specie scomparse di alberi da frutto locali e molteplici opere d'arte realizzate da artisti della zona;
La strada delle meridiane percorre il centro storico del paese ed è impreziosita da sette meridiane raffiguranti celebri opere pittoriche;
Il giardino pietrificato, nella frazione di Bascio, alla base di una torre millenaria, ospita sette tappeti di ceramica dedicati ad altrettanti personaggi storici passati nella valle;
L'angelo coi baffi è un'opera multimediale sita nella Chiesetta dei Caduti;
Il santuario dei pensieri è un giardino per la meditazione e per il dialogo interiore, impreziosito da sculture in pietra orientaleggianti;
Il rifugio delle madonne abbandonate comprende una raccolta di immagini sacre che adornavano le cellette agli incroci delle strade di campagna nell'Alta Val Marecchia;
La Madonna del rettangolo di neve è una chiesetta situata in mezzo al bosco, costruita, si dice, grazie ad un segno divino.
Mateureka - Museo del Calcolo, già Museo di Informatica e Storia del Calcolo, presenta gli strumenti, le idee e i concetti di una fra le più affascinanti avventure del pensiero umano.
All'inizio del percorso sono esposti centinaia di oggetti, originali e preziosi, che aiutano a ripercorrere la storia del calcolo e della matematica. Si possono ammirare un cono di fondazione e tavolette sumere di 4500 anni fa, lapidi romane ed iscrizioni etrusche, abachi, suan pan cinesi, soroban giapponesi, schoty russi, un astrolabio, una tavola medioevale per contare, quipù inca e chimpù peruviani, la Summa di Luca Pacioli, cilindri e bastoni di Nepero, compassi di proporzione, la Pascalina (ricostruzione), regoli e nomogrammi, aritmografi, calcolatrici meccaniche, elettromeccaniche, elettroniche e programmabili.
In numerose sale-laboratorio si sperimentano i concetti e le idee della matematica con l'intento di trasmettere non solo conoscenze ma, principalmente, emozioni. Si può osservare l'infinito e lo zero; manipolare il teorema di Pitagora o immergersi in un viaggio emozionante all'interno di un frattale; giocare con i numeri primi e il pi greco o rimanere affascinati da quel numeretto d'oro che fa apparire bello tutto ciò che ci circonda e scoprire, pian piano, che la matematica è alla base dell'informatica, di internet, della realtà virtuale, della robotica e che la sua presenza è dentro la nostra vita di tutti i giorni.
Il Museo Naturalistico è stato inaugurato nel giugno 2004 dall'Ente Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello, in collaborazione col Comune di Pennabilli, come struttura adibita a centro visite.
Il museo, un ex mattatoio comunale ristrutturato, ospita una scenografica mostra permanente di diorami, che presentano le principali specie animali del parco nel loro ambiente naturale, fedelmente ricostruito.
Numerosi gli animali imbalsamati esposti, che includono diverse specie dell'avifauna locale, tra cui rapaci notturni e diurni come la civetta, il barbagianni, il gufo comune, l'allocco e molti altri. Di particolare pregio sono un esemplare di gatto selvatico europeo, frutto di un raro ritrovamento avvenuto all'interno del parco nel 2002, e la teca contenente un lupo appenninico.
Il museo ha prevalentemente finalità didattiche: è dotato di un'aula polivalente con postazioni multimediali adatta a laboratori didattici, proiezioni, convegni e conferenze, ricerche e approfondimenti; in futuro è previsto l'allestimento di una biblioteca naturalistica e di un centro di documentazione per ricerche e consultazioni.
Il museo si sviluppa all'interno del piano nobile del Palazzo Mediceo, edificato tra il 1517 e 1523 in seguito alla conquista della città da parte di Firenze. La struttura interna del palazzo ha un impianto tipicamente rinascimentale, organizzato intorno alle stanze di rappresentanza del pianterreno, mentre la facciata, oltre agli eleganti profili in pietra delle finestre, presenta il caratteristico portale a tutto sesto con cornice di bugnato liscio, lo stemma con giglio della città di Firenze e quello di papa Giulio II della Rovere.
Il museo, fondato nel 1996 per volere della Curia Vescovile di San Marino-Montefeltro e dell'Amministrazione Comunale di San Leo, si articola in quattro grandi sale ai lati di un piccolo ingresso. Vi sono esposti manufatti di arte sacra dall'VIII al XVIII secolo, realizzati per altari e stanze di conventi, spesso legati a eventi particolari della storia locale e profondamente connaturati ai luoghi di provenienza.
Finalità del museo è raccogliere, tutelare e conservare importanti opere d'arte del territorio leontino provenienti da edifici di culto che per varie ragioni non ne consentono più la conservazione. L'intento, ambizioso, è quello di proporsi come specchio del territorio e immagine della storia e dei luoghi, della città e del suo contado.
La visita inizia dal Lapidario, che accoglie antichi reperti scultorei della città (VIII – XIII secolo), tra i quali spiccano per importanza sia i resti delle tre arcate in calcare, riccamente decorate, che componevano il tabernacolo della cattedrale altomedievale, sia quattro frammenti della recinzione presbiteriale della pieve carolingia, che, con il loro alternarsi di intrecci geometrici e simboli cristiani, sono un valido esempio di scultura dell'Italia settentrionale del IX secolo.
Segue la Sala delle tavole dipinte che rappresenta gli esordi della storia pittorica del leontino, raccogliendo al suo interno i più antichi manufatti pittorici; un crocifisso trecentesco, la tavola della Madonna della Mela di Catarino di Marco da Venezia (1375 circa) e la tavola di Luca Frosino raffigurante la Madonna con il Bambino (1487-1493).
La seconda sala è detta Sala del tabernacolo per la grande opera lignea, proveniente dal convento francescano di Sant'Igne che, con i suoi raffinati intagli e dipinti, costituisce uno dei manufatti più singolari del Rinascimento nel Montefeltro.
Al periodo più rappresentato, il Seicento, è dedicata la terza sala. Qui vengono esposte numerose opere pittoriche, dovute in gran parte alle disposizioni liturgiche del Concilio di Trento, che prevedevano un rinnovamento degli edifici ecclesiastici sia negli arredi che nelle immagini. Tra le opere spiccano Santa Rita da Cascia di Giovan Francesco Guerrieri (1636) e la Deposizione di Giovan Francesco Barbieri (XVII sec).
L'ultima sala, Sala dei Paliotti in Scagliola, è dedicata ai rivestimenti liturgici per altare, i paliotti appunto, che ornavano gli altari delle chiese medievali leonine. Gli esemplari presenti mostrano chiaramente come i paliotti in principio fossero costituiti da lastre di pietra finemente scolpite e decorate, in seguito sostituite da materiali come avorio, metallo, legno o stoffe pregiate, opportunamente scelte in base alle solennità.
A fianco alle sale si apre il Deposito, spazio un tempo adibito alle macchine di scena del teatro sottostante, oggi riservato alle opere bisognose di restauro o di minor pregio, e al Corridoio delle finestre, suggestivo ambiente dedicato a piccole mostre da cui si gode un'incantevole visione della pieve e della cattedrale.
Trasformato oggi in sede museale, il Forte è innanzitutto un'importante testimonianza di architettura militare.
Il monte di San Leo, per la sua posizione dominante e per la sua peculiare conformazione geografica, caratterizzata da pareti scoscese e perpendicolari al suolo, ha sempre costituito una Fortezza naturale. Già i Romani, ben consapevoli di tale attitudine, vi costruirono una prima fortificazione. Durante il Medioevo, la Fortezza venne contesa da Bizantini, Goti, Longobardi e Franchi.
Intorno alla metà del XI secolo il Forte passò sotto il dominio dei conti di Montecopiolo, che diventarono signori di San Leo, mutando il proprio titolo in quello di conti, poi duchi, di Montefeltro, dall'antico nome della città, allora chiamata appunto Montefeltro. Dalla seconda metà del Trecento la rocca venne espugnata dai Malatesta, che sino alla metà del secolo successivo si alternarono nel suo dominio ai Montefeltro.
Nel 1441 Federico da Montefeltro, protagonista delle vicissitudini di San Leo, affidò al grande architetto e ingegnere senese Francesco di Giorgio Martini il compito di ridisegnare il Forte e approntarlo alle nuove esigenze di guerra, come l'avvento delle armi da fuoco, che richiedevano determinanti innovazioni non sostenibili dalla originaria struttura medievale. La nuova forma prevedeva una risposta al fuoco secondo una controffensiva dinamica che garantiva direzioni di tiri incrociati. Per questo motivo i lati della rocca furono dotati di artiglieria e le vie d'accesso protette da avamposti militari.
Nel 1502 la Fortezza venne conquistata da Cesare Borgia, il Valentino, ma dopo un anno ritornò nelle mani dei Montefeltro e nel 1527 passò in quelle dei Della Rovere. Nel 1631, quando il Ducato di Urbino passò sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, venne adattata a carcere: nelle sue celle, ricavate dagli originari alloggi militari, al tempo dei moti rivoluzionari di Romagna furono imprigionati numerosi patrioti risorgimentali, dei quali il più celebre è Felice Orsini. Ma il recluso di gran lunga più noto, il cui nome è indissolubilmente legato alla Fortezza di San Leo, è il Conte di Cagliostro, pseudonimo di Giuseppe Balsamo da Palermo, affascinante e misterioso avventuriero, massone e occultista del XVIII secolo.
La Fortezza continuò ad assolvere la sua funzione di carcere anche dopo l'unità d'Italia, fino al 1906. In seguito, dal 1911 al 1916, ospitò una compagnia militare di disciplina.
Oggi, ripulita dalle sovrastrutture ottocentesche e riportata alle eleganti linee rinascimentali, è uno dei più celebrati esempi di arte militare ed ospita nelle sue sale una ragguardevole collezione di armi antiche e moderne.
Il Museo delle Arti Rurali di San Girolamo è ospitato nel convento omonimo che si erge maestosamente su un colle accanto alla Chiesa della Beata Vergine delle Grazie, con la quale forma un corpo unico. Nel complesso erano custoditi due dipinti di grande pregio: la pala Madonna col Bambino e santi Girolamo, Cristina, Francesco e Antonio di Padova, commissionata dai Fregoso, signori del luogo, a Pietro da Cortona per l'altare della chiesa, oggi esposta nel museo, e il dipinto di Pedro Berruguete, Cristo morto sorretto da due angeli, requisito in età napoleonica e trasportato alla Reale Galleria di Brera nel 1809, dove è collocato tuttora.
Eretto nel 1560, il convento di san Girolamo è stato adibito a sede museale nel 2005 dopo un lungo intervento di restauro e di adeguamento degli spazi. Nato grazie all'iniziativa di un gruppo di santagatesi desiderosi di riscoprire le proprie origini, il Museo delle Arti Rurali si compone di due sezioni: la sezione di arte sacra, che riunisce le suppellettili e i paramenti, di notevole pregio artistico, provenienti dalla chiesa e dal convento di San Girolamo, e la sezione di arte rurale, che ha finalità sociali e rieducative e si propone di rinnovare l'insegnamento di padre Marella, il quale negli anni 1950-1970 raccolse nell'ex convento orfani, disabili e diseredati, insegnando loro l'arte contadina.
Accanto all'esposizione di manufatti realizzati dall'artigianato contadino locale, il museo accoglie infatti vere e proprie sale-laboratorio dove tutti coloro che sono interessati, e in particolare ragazzi portatori di handicap, acquisiscono abilità manuali e apprendono gli antichi mestieri rurali trasmessi dagli anziani del luogo.
Sono oggetto di insegnamento le attività di ebanisteria, per il recupero dei mobili d'arte povera, di tessitura, effettuata con telai e altri strumenti appartenenti alla tradizione, di decorazione e stamperia mediante l'uso di stampi lignei e di colori naturali. È inoltre possibile apprendere le arti della lavorazione dei cesti, del vasellame e del ferro battuto. Nel museo è sito anche un archivio-biblioteca al quale fa capo una scuola interna di rilegatoria e di fabbricazione della carta con prodotti naturali.
Rocca Fregoso domina la valle del Marecchia dall'alto dello strapiombo naturale del Sasso del Lupo, uno dei numerosi massicci calcarei che caratterizzano il paesaggio del Montefeltro. Il luogo era conosciuto anche come Pietra Anellaria, antico nome di Sant'Agata Feltria, che indicava il gruppo di case costruite sul blocco di pietra arenaria (da cui anellaria), distinte dal borgo vero e proprio.
La fortezza fu fatta costruire intorno all'anno 1000 dal conte Raniero Cavalca di Bertinoro e, per la sua posizione di confine, acquistò importanza strategica, diventando, assieme alle Rocche di San Leo e Maiolo, la punta più avanzata del sistema difensivo settentrionale del futuro Ducato di Urbino. La rocca primitiva subì le prime radicali trasformazioni nel XV secolo per iniziativa di Federico da Montefeltro, che affidò i lavori per rimodernare le rocche di suo dominio, tra cui quella di Sant'Agata Feltria, al celebre architetto militare Francesco di Giorgio Martini. Gli interventi architettonici trasformarono il forte da baluardo bellico in dimora principesca per la figlia di Federico, Gentile Feltria, che fu data in sposa al nobile Agostino Giovanni Fregoso, portandogli in dote il territorio di Sant'Agata.
Con l'avvento dei Fregoso nel 1506, la rocca venne ampliata e abbellita con opere d'arte, come i bei soffitti a cassettoni del primo piano, i monumentali camini rinascimentali, la cappella esagonale con affreschi cinquecenteschi, le cinque lunette e gli spicchi del soffitto. Il secondo piano fu destinato ad abitazione del castellano e in seguito del comandante della guarnigione. Sotto la rocca sono scavati sotterranei nei quali è collocato un antico presepe, mentre sul primo piano si possono notare i fori per la conservazione delle riserve granarie.
Negli ultimi due secoli la rocca è stata adibita a convento dei Frati Minori Conventuali, a edificio per le scuole superiori di ginnasio, a prigione, a pretura ed infine ad abitazione civile.
Oggi la rocca non è integra a causa del crollo, nel gennaio 1835, della torre principale, originariamente quadrangolare, ricostruita nell'attuale forma circolare dall'architetto Botticelli Santi. Resta ben conservato, invece, il terrazzo ottogonale, dal quale Simonetto Fregoso vigilava le mosse degli eserciti invasori dei Borgia e dei Medici, informando i Duchi di Urbino.
L'edificio è attualmente sottoposto a un imponente intervento di restauro e, a lavori terminati, sarà destinato a sede museale per ospitare mostre e installazioni temporanee.
Il Teatro Angelo Mariani è il più antico teatro interamente in legno esistente in Italia. Costruito nel 1605 per volere di Orazio Fregoso all'interno del 'Palazzone', attuale sede del municipio, venne adibito a sala-teatro per recite e spettacoli della gioventù santagatese.
Nel 1690 fu avviato un intervento architettonico volto a separare il palcoscenico dal pubblico ma i lavori furono contrastati dal clero locale che considerava teatranti e commedianti persone di facili costumi e di dubbia moralità. Ciò indusse il teatro a dotarsi di rigide regole comportamentali.
Nel 1723 ad opera della Società Condomini ebbe inizio l'edificazione del primo ordine di palchi, completata fra il 1743 ed il 1753 da Giovanni Vannucci, che realizzò anche il secondo e il terzo ordine.
L'ingresso del teatro fu ricavato eliminando il quarto palco del primo ordine: una soluzione piuttosto originale, che prevedeva un insolito accesso laterale alla platea invece del tradizionale ingresso centrale, sul lato opposto al palcoscenico, presente nella maggior parte dei teatri.
Le balconate del secondo e terzo ordine, raffiguranti drappi e trine, furono decorate a tempera mentre nove medaglioni dipinti ad olio con le effigi di personaggi celebri della musica e del teatro o appartenenti alla storia locale (Pietro Metastasio, Carlo Goldoni, Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti, Angelo Mariani, Ottaviano Fregoso, Uguccione della Faggiola, Dionigio Agatoni De' Maschi, Ranieri De'Maschi) ornavano i vertici della volta e l'architrave di proscenio.
Il sipario, costituito da un dipinto raffigurante Sant'Agata Feltria, così come l'intero corredo scenico, di cui restano cinque fondali, sono opera del noto scenografo faentino Romolo Liverani, il quale appartenne a quel gruppo di pittori che si formarono alla scuola comunale di disegno di Faenza, istituita nel 1797, e per tutto l'Ottocento tennero viva la tradizione dell'arte scenica. Fra gli artigiani impegnati nel rinnovo delle decorazioni vanno ricordati anche lo stuccatore riminese Zanni, il doratore Rachele Cappellani e l'intagliatore Angiolini.
Col tempo il teatro da luogo di divertimento aperto a tutti divenne un ambiente sempre più raffinato e colto, appannaggio esclusivo della nuova e ricca borghesia santagatese. Nel 1838 si formò una società musicale, poi denominata Accademia Filarmonica, che nell'aprile 1841 chiamò a Sant'Agata Feltria Angelo Mariani, ventenne maestro di musica di Ravenna, destinato a diventare uno dei più importanti direttori d'orchestra italiani, tra i maggiori interpreti delle opere di Verdi. E fu proprio con la presentazione di un'opera di Verdi, il Rigoletto, che il teatro toccò il proprio apogeo di fama negli anni Venti. Per l'occasione, le musiche furono eseguite dall'orchestra del Teatro La Scala di Milano.
Nel dopoguerra il Teatro Mariani andò incontro a un inesorabile declino che lo vide prima trasformato in sala cinematografica e negli anni settanta costretto alla chiusura per la mancanza dei requisiti di sicurezza. Nel 1986 la Società Condomini cedette il teatro al comune di Sant'Agata Feltria, che ne avviò i lavori di restauro, ultimati nel 2002, riportandolo all'antico splendore e restituendogli piena funzionalità per il piacere dei cittadini e di tutti gli amanti dell'arte.
Inaugurato dall'Amministrazione comunale di Talamello nel settembre 2002 nei locali dell'ex Teatro Amintore Galli, già chiesa medievale di Sant'Antonio Abate, il Museo-pinacoteca Gualtieri "Lo Splendore del Reale" riunisce più di 40 opere donate al Comune tra il 2000 e il 2005 da Fernando Gualtieri, artista di fama internazionale di origini talamellesi, apprezzato, oltre che in Europa ed America, anche in Cina e Giappone.
Riconosciuto dalla critica come il Maestro dello Splendore del Reale, Gualtieri "... ci porta una bella e radiosa sorpresa, dedica la sua arte a dipingere tutti gli oggetti: la natura morta, i ritratti, le composizioni..." secondo le parole di Georges Duhamel dell'Accademia Francese. Caratterizzato dal suo personalissimo e suggestivo stile, è un insolito catalizzatore di luce, dipinge il visibile e l'invisibile, il reale e l'irreale, in una cascata di colori e di luce.
Proprio luce e brillantezza sono per Gualtieri gli elementi essenziali per ritrarre veracemente lo 'Splendore del reale', così definito dal pittore:
È valorizzare l'essere amato nobilitandolo di giusta luce.
È andare all'essenziale, verso l'anima del soggetto.
È, ancora, essere "pescatore di luna", cogliere il riflesso impercettibile
dell'altro, la sua evanescenza e la sua permanenza.
Le opere esposte nel museo sono oli su tela sia di piccolo formato che di grandi dimensioni come L'ultimo ruggito (200 x 400 cm), la natura morta Broccato persiano o i dipinti Sinfonia di cristallo, Il gioco della morte ed Una sera da Lasserre; vi sono inoltre ritratti ad olio e a matita, tra cui spicca un Autoritratto dell'artista, e paesaggi siciliani, canadesi, parigini...